BlogStoria del graphic design

1. L’era industriale e la rivoluzione tipografica

Premessa

Chiunque abbia avvicinato la storia del progetto grafico sa che le sue radici vengono spinte indietro fino agli albori delle espressioni artistiche dell’uomo preistorico, a significare che qualsiasi forma di sintesi dell’immagine e, naturalmente, ogni forma di trasposizione segnica di un linguaggio sono, in una certa misura, un passo verso la costruzione e la definizione delle caratteristiche che rendono il progetto grafico l’attività professionale così come la conosciamo oggi.
Attività che nel corso degli ultimi cento anni ha perso gran parte della componente artistica e artigianale che la caratterizzava fino alla fine dell’Ottocento, come conseguenza delle innovazioni tecniche che in quel periodo investirono in rapida successione tutto il comparto industriale per la produzione di beni di consumo e quello nascente della tipografia, diciamo così, di mercato.
Queste innovazioni permisero la standardizzazione di una serie di attività e processi, sia produttivi che in una certa misura artistici, legati al mondo della stampa, fossero essi di tipo espressivo (tecniche di produzione dei caratteri e di riproduzione delle immagini, ad esempio) che produttivo (produzione industriale di carta da pasta di cellulosa, macchine per la stampa alimentate con energia artificiale e non più dal lavoro umano), uniformandone i risultati e permettendo così la nascita di una figura professionale che si inseriva a pieno titolo in una filiera di lavorazione in cui la sua presenza non era mai stata, fino a quel momento, riconducibile a delle azioni specifiche per le quali fosse necessaria o prevista una formazione specifica: il progettista grafico, il graphic designer.

I primi esempi di progetto industriale coincidono con lo sviluppo dell’industria tipografica

Alcuni caratteri mobili in metallo per la stampa

La storia della tipografia è lunga quasi quanto quella della produzione industriale stessa.
Secondo Renato De Fusco la progettazione industriale va fatta risalire ai caratteri mobili per la stampa, nella produzione dei quali trovavano impiego i principi fondamentali del prodotto industriale, ossia la standardizzazione e la serialità. Lo stesso processo di stampa, ai suoi esordi, è un esempio primordiale di standardizzazione della produzione di serie. La tecnica della stampa a caratteri mobili contiene quindi in nuce le caratteristiche essenziali del processo industriale nel senso più ampio.

La rivoluzione industriale: l’energia artificiale affianca e/o subentra all’uomo nel lavoro

Spesso si distingue fra prima e seconda rivoluzione industriale. La prima interessò prevalentemente il settore tessile-metallurgico con l’introduzione della spoletta volante e della macchina a vapore nella seconda metà del ‘700. La seconda rivoluzione industriale prende piede convenzionalmente a partire dal 1870 con l’introduzione dell’elettricità, dei prodotti chimici e del petrolio.
L’uso delle macchine alimentate dal vapore e poi dall’elettricità imprime un’accelerazione spaventosa dei processi produttivi. L’accelerazione dei processi impone un’ottimizzazione dei flussi di lavoro e della loro articolazione/suddivisione in più sotto-processi sempre più specializzati. La specializzazione delle attività produttive crea figure professionali formate per svolgere mansioni sempre più specifiche, che possano coprire costantemente tutta la filiera produttiva.

Talvolta ci si riferisce agli effetti dell’introduzione massiccia dell’elettronica, delle telecomunicazioni e dell’informatica nell’industria come alla terza rivoluzione industriale, che viene fatta partire dal 1970. Il progetto grafico ha goduto enormemente dell’affermazione dell’elettronica e dei computer.

La prima macchina stampatrice piano cilindrica a vapore

La prima macchina tipografica azionata da una forza motrice a vapore si deve al tedesco Friedrich Koenig che nel 1814 realizza una macchina per stampa tipografica piano-cilindrica a vapore. La prima macchina di Koenig venne installata nella tipografia dell’editore Tom Bensley di Londra ed aveva una tiratura di 700-800 copie l’ora, raddoppiata col modello a due rulli inchiostratori. Il modello originale di Koenig prevedeva una sola macchina piano cilindrica ma John Walter, proprietario del “Times” chiese di raddoppiarle per aumentare la tiratura. Le due macchine entrarono in funzione nella notte tra il 28 e il 29 Novembre 1814. L’introduzione di questa macchina rivoluzionò il modo di stampare quotidiani che fino ad allora erano stampati con torchi a mano Stanhope da numerosi operai.

La produzione della carta nell’era industriale

Nel 1844 un tessitore di Hainichen, in Sassonia, di nome Friedrich Gottlob Keller, depositò un brevetto per una pasta preparata dal legno. Il tedesco Heinrich Voelter nel 1846 lo migliorò con l’invenzione di un apparecchio per la sfibratura costituito da una grossa mola in gres che sminuzza il legno. Il prodotto ottenuto era mediocre ma adatto ad un utilizzo nascente: la stampa periodica. Lo sfibratore si imporrà solo dopo il 1860 quando ad esso verrà affiancato un altro trattamento, quello chimico, che migliora il processo di produzione della carta. I primi trattamenti furono con soda e potassa a caldo, seguiti da sbianca con cloro. Emicellulosa e lignina si sciolgono, mentre la cellulosa rimane intatta. Soda e potassa vennero presto sostituiti da bisolfito che opera in ambiente acido.
Dal 1880 un nuovo procedimento al solfato permise di ottenere una carta molto robusta chiamata carta Kraft che rivoluzionerà il mondo dell’imballaggio.
Con l’arrivo della pasta di legno, la produzione diventò di massa e la caduta del prezzo trasformò la carta in un prodotto di largo consumo. In Inghilterra, ad esempio, la produzione passò dalle 96.000 tonnellate del 1861 alle 648.000 tonnellate del 1900. I paesi ricchi di foreste come quelli scandinavi, il Canada e gli Stati Uniti diventarono i nuovi riferimenti del mercato. La carta industriale abbondante e a basso costo diversifica gli utilizzi: nel 1871 la prima carta igienica in rotoli, nel 1906 le prime confezioni del latte in cartone impermeabilizzato, nel 1907 il cartone ondulato e poi giocattoli, capi d’abbigliamento, elementi d’arredo, isolamenti elettrici.
Prima di quest’epoca, un libro o un giornale erano oggetti rari e preziosi e l’analfabetismo era enormemente diffuso. Con la graduale introduzione della carta economica, giornali, quaderni, romanzi e altra letteratura diventarono alla portata di tutti.
La carta offrì la possibilità di scrivere documenti personali e corrispondenza, non più come lusso riservato a pochi. La stessa classe impiegatizia può essere considerata nata dalla rivoluzione della carta così come dalla rivoluzione industriale.
Con la contemporanea invenzione della penna stilografica, della produzione di massa di matite, del processo di stampa rotativa, la carta ha avuto un peso notevole nell’economia e nella società dei paesi industrializzati.

Il retino per la riproduzione dei mezzi toni

Esempio di retino tipografico sfumato

La stampa come la conosciamo tutt’oggi non può prescindere dall’invenzione del retino per la riproduzione dei mezzi toni, e naturalmente del relativo processo di fotoincisione.
Questa soluzione permise, agli albori del processo meccanizzato di stampa, di utilizzare inchiostro di un solo colore (in genere nero) per riprodurre su carta le variazioni chiaroscurali di una fotografia o di un’illustrazione con qualità pittoriche (ad esempio, le sfumature). Un solo inchiostro, che non possa essere diluito in modo progressivo con un sistema meccanizzato, in stampa non è in grado di riprodurre da solo alcuna variazione chiaroscurale. Per permettere la variazione di toni che un’immagine contiene, si «scompone» la variazione di toni dell’immagine in forma di puntini piccolissimi, equidistanti ma di dimensione variabile, in funzione del livello di grigio che si vuole ottenere. L’insieme dei puntini, costituenti l’immagine stampata, vengono riprodotti sul supporto cartaceo con inchiostro nero o colorato. Di conseguenza, per contrasto con la carta e da una distanza sufficiente ad “ingannare” l’occhio, questi puntini fanno percepire al nostro occhio l’effetto grafico tonale che tutti conosciamo.
Diversi tipi di schermi* per ottenere la retinatura sono stati proposti durante i decenni dal 1850 agli anni ’80. Ma il primo metodo commerciale di successo è stato brevettato da Frederic Ives di Philadelphia nel 1881. Sebbene avesse trovato un modo di scomporre l’immagine in punti di dimensioni variabili, questo metodo non faceva uso di uno schermo. Nel 1882, il tedesco Georg Meisenbach brevettò un processo di mezzitoni in Inghilterra basato su idee precedenti di Berchtold e Swan. Utilizzava schermi a righe singole che venivano ruotati durante l’esposizione per produrre l’effetto retinato incrociando le linee. Fu il primo a ottenere successi commerciali con mezzitoni in rilievo.
Poco tempo dopo, Ives, questa volta in collaborazione con Louis e Max Levy, migliorò ulteriormente il processo con l’invenzione e la produzione commerciale di schermi incrociati di qualità.
Il processo di mezzitoni in rilievo si dimostrò quasi immediatamente un successo. L’uso di immagini riprodotte con la tecnica dei mezzitoni nelle riviste popolari raggiunse grande diffusione durante i primi anni del 1890.
La riproduzione a stampa di immagini a colori con la tecnica della quadricromia si basa sul medesimo principio.

A sinistra uno schermo a mezzitoni. A destra una reprocamera

*Schermo per mezzitoni: si tratta di un telaio di forma quadrangolare che ospita una lastra di vetro (qui sopra, in alto a sinistra) su cui sono impresse linee verticali e linee orizzontali a formare un retino fitto e regolare di colore bianco (qui sopra, in basso a sinistra, un ingrandimento del retino). Questo schermo viene posizionato all’interno di un grande apparecchio fotografico chiamato reprocamera (process camera in inglese) montato su un binario (come nella foto sopra, a destra), davanti ad una lastra preparata all’impressione. All’altro capo del binario si colloca l’originale della fotografia in bianco e nero da riprodurre. Il binario serve ad avvicinare ed allontanare l’apparecchio fotografico, in modo da ottenere ingrandimenti o riduzioni dell’originale da acquisire.
Praticamente, la foto viene fotografata di nuovo, con questo schermo retinato frapposto tra le lenti dell’obiettivo e la lastra impressionabile, per consentirne la scomposizione in punti. La luce che entra dall’obiettivo passa attraverso il reticolo e impressiona la lastra. Essendo un reticolo di linee bianche, ciò che verrà impressionato sulla lastra attraverso questa serie fittissima e regolare di quadratini saranno altrettanti punti neri di forza variabile (perché la foto, come ogni altra foto al mondo, conterrà prevedibilmente delle zone nere, altre grigie di varia intensità e forse anche zone bianche). I punti appariranno distanziati tra loro grazie, appunto, al reticolo di linee bianche dello schermo. La lastra impressionata con questa tecnica viene poi sottoposta ad un processo di incisione con degli acidi per bucare innanzitutto e migliorare (eventualmente in più passaggi) il disegno dei punti, che altrimenti risulterebbero più o meno sfocati. Non è il processo più semplice da rendere in forma testuale 🙂

La retinatura per la riproduzione a stampa di immagini a colori si basava sullo stesso processo, fatti salvi i dovuti accorgimenti tecnici per scomporre i singoli colori primari (ciano, magenta, giallo, nero) necessari alla riproduzione su supporti fisici.

La stampa rotativa e la quadricromia

Una tipografia di fine Ottocento

Due invenzioni che sicuramente hanno rivoluzionato il mondo dell’editoria, permettendo di stampare velocemente e a colori, sono la rotativa e la stampa a quattro colori, comunemente detta quadricromia. Alcune fonti attribuiscono tali invenzioni al francese di origini italiane Auguste Hippolyte Marinoni che dapprima scoprì che combinando ciano (azzurro), magenta (rosso) e giallo si può ottenere qualsiasi tinta (tuttavia esistono anche notizie di scoperte identiche in terra americana, in periodi leggermente precedenti). Nel 1866 inventò – e brevettò in Francia – la rotativa, una macchina in grado di stampare migliaia di copie all’ora su un nastro continuo di carta bianca. Dell’invenzione beneficiarono, prevedibilmente, soprattutto i quotidiani dell’epoca.
Come riportato in precedenza, il perfezionamento del retino a mezzi toni (indispensabile per la riproduzione a stampa delle immagini) è della prima metà degli anni ’80 dell’Ottocento. La creazione della rotativa a colori da parte di Marinoni è datato 1889. Ogni elemento (cilindro) della macchina sovrappone il suo colore agli altri di modo che l’immagine stampata abbia tutte le tinte e le sfumature desiderate.

Meccanizzazione della composizione tipografica

Una macchina Linotype e una Monotype

I primi esperimenti di composizione meccanica portano nel 1886 alla realizzazione, da parte dell’americano (nato in Germania) Ottmar Mergenthaler, della Linotype (fusione di intere righe già composte – line-of-types) e successivamente nel 1889 alla Monotype realizzata da Tolbert Lanston, che inventa un procedimento basato sulla fusione non delle righe ma dei singoli caratteri. La parte meccanica delle tecnologia della stampa subirà poi solo piccoli cambiamenti, fino all’introduzione su larga scala della stampa Offset nel 1960.

In sintesi, nella seconda metà dell’Ottocento trovano compimento tutte le conquiste tecnologiche che sono state alla base dell’industria tipografica per più di un secolo, e che in alcuni casi, in maniera più o meno evoluta, trovano tutt’ora applicazione. Proviamo ad elencarle:

  • macchine per la stampa alimentate con energia artificiale in grado di produrre tirature sempre più alte;
  • carta a basso costo e in grandi quantità;
  • la possibilità di stampare a colori;
  • caratteri tipografici in maggior numero e realizzati con nuove tecniche per migliori risultati di stampa;
  • due sistemi per comporre rapidamente i testi destinati alla stampa;
  • una nuova tecnica per adattare la riproduzione delle immagini ai processi di stampa ad inchiostro;
  • un mercato incrociato crescente: l’industria, con le sue necessità di imballaggio e promozione dei prodotti, e i consumatori (di beni di consumo e di supporti informativi, come libri e giornali) che scelgono i prodotti che più li attraggono.

L’insieme di queste possibilità diede un’accelerazione impressionante alla produzione di stampati, trasformando il processo da una serie di operazioni artigianali da compiere secondo rituali lenti e minuziosi ad una esplosione delle dimensioni delle attività tipografiche, sia in termini logistici che di forza-lavoro. Si rese necessaria una maggiore specializzazione del personale per permettere una più fluida organizzazione del lavoro, in modo da ottimizzare e sfruttare al meglio le possibilità dei nuovi sistemi di stampa. Nell’arco di circa trent’anni, l’intero comparto ne uscì stravolto.
Man mano che lo stampato, grazie alla sua improvvisa economicità, raggiungeva tipologie di clientela sempre più differenziate, specializzate o dalle aspettative più o meno sofisticate, si rendeva evidente la necessità di dedicare maggior cura all’aspetto dei prodotti a stampa, in modo da soddisfare i gusti e i bisogni di fasce di pubblico di diversa estrazione e con differenti esigenze.
Nasceva il progetto grafico.