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Sempre la stessa storia. Il Viaggio dell’eroe e lo storytelling oggi

Mitogram - Viaggio dell'Eroe - Storytelling

Cos’è il Viaggio dell’Eroe

È la struttura portante ricorrente di ogni storia di carattere popolare che prevede un qualche tipo di eroe a cui capita di dover portare a termine una missione atta a ristabilire una condizione di equilibrio, di ritorno dalla quale l’eroe risulta cambiato possibilmente in meglio e riprende il suo posto nella comunità con una nuova consapevolezza di sé e del suo ruolo nella comunità stessa.
Per “struttura portante” facciamo riferimento ad una serie di fasi ed eventi relativamente fissi sia nel numero che nella sequenza in cui avvengono. Questi eventi sono l’ossatura che regge la storia e ne garantisce senso di unità e compiutezza; per “ricorrente” intendiamo la presenza costante di questa serie di eventi in ogni tipo di storia popolare, di qualsiasi epoca e a qualsiasi latitudine del pianeta.
Nel Viaggio, l’Eroe, di volta in volta, è affiancato da e/o si relaziona con un certo numero di personaggi che a loro volta rappresentano una o più espressioni archetipiche ricorrenti che agiscono secondo le regole che governano il Viaggio stesso.

La consapevolezza dell’esistenza del Viaggio nella forma oggi a noi nota risale alla prima metà del Novecento ed è stata evidenziata in prima battuta dal linguista e antropologo russo Vladimir Propp nel saggio Morfologia della fiaba. Dopo aver analizzato centinaia di fiabe popolari della tradizione russa e siberiana, Propp isolò una serie di eventi ricorrenti e di personaggi con un ruolo preciso che si ritrovavano inesorabilmente – anche se non necessariamente nello stesso numero – in ognuna delle fiabe decostruite. Secondo l’ipotesi di Propp, questa struttura deriva a sua volta da quella dei miti primordiali e tribali.
Subito dopo la seconda Guerra mondiale, fu la volta dell’americano Joseph Campbell identificare nelle mitologie mondiali le caratteristiche comuni ricorrenti, descritte nel saggio L’Eroe dai mille volti.
Infine, negli anni Novanta Christopher Vogler, un esperto di sceneggiature statunitense, condensò tutto in un agile scritto intitolato The Writer’s Journey, in Italia rimaneggiato come Il Viaggio dell’Eroe.

Occorre fare una breve parentesi sul concetto di Mito: si tratta di narrazioni che danno agli esseri umani un contesto di provenienza ed appartenenza. Insomma, servono a giustificare a noi stessi e alla nostra comunità la nostra esistenza, il fatto di vivere in un certo luogo, di far parte di una comunità che aderisce a certe regole e ad esempio di credere a determinate divinità. È il background culturale minimo per non avere crisi identitarie e mistiche. È anche il modo per dire “noi differiamo da un’altra tribù per queste caratteristiche che sono solo nostre” e circoscrivere quindi il gruppo di appartenenza. Dal mito deriva – o del mito fa parte – quella forma teatralizzata di inclusione sociale, spesso collegata a fasi fondamentali della vita dell’individuo, che conosciamo come Rito. Tra le sue molteplici funzioni e configurazioni, il rito ufficializza pubblicamente la nostra appartenenza alla società in cui viviamo, la fase di sviluppo che abbiamo raggiunto come individui e, spesso, il ruolo che abbiamo in essa. Accettando di partecipare al rito, dichiariamo implicitamente agli altri membri della comunità che ne abbiamo accettato le regole e, per estensione, il modo di pensare.
Il rito pubblico (pensiamo al matrimonio, o il conferimento di una carica di responsabilità) assolve a potenti funzioni: innanzitutto diffonde istantaneamente a tutta la comunità di riferimento un cambiamento nella posizione e responsabilità di un individuo; l’individuo stesso acquista consapevolezza dell’importanza e portata di questi mutamenti in forma amplificata dal rituale pubblico e si fa carico davanti alla comunità dei suoi nuovi doveri. Per avere un’idea dei meccanismi psicologici innescati dai rituali, vi sono riflessioni molto interessanti nel bellissimo e densissimo saggio di Marc Augé La guerra dei sogni.

In questa occasione non ci interessa approfondire oltre. Wikipedia offre maggiori informazioni sia sul mito che sul rito. Teniamo però bene in mente che miti e riti affondano le loro radici lontanissimo nel tempo, migliaia di anni indietro. Potremmo dire che le loro strutture e finalità, introiettate nel quotidiano degli esseri umani grazie alla loro frequente reiterazione nel corso della vita, si insinuano invisibilmente nella mente e vi si radicano. La struttura narrativa mitologico-rituale fa parte dell’immaginario collettivo di ogni essere umano, senza che egli ne sia necessariamente consapevole.

Il mito nella sua forma originaria disegna e delimita il contesto di appartenenza della creatura umana e, contemporaneamente, lo salda indissolubilmente alla Natura e ai suoi capricci e misteri insondabili. In principio, l’uomo è il testimone cosciente del creato, che non comprende e non può dominare. Può semplicemente esistere e far parte del flusso infinito della vita e dei suoi cicli di distruzione e rinascita.
Nel corso del tempo, riti e i miti mutano nella forma e nella destinazione d’uso, ma non nella struttura e nella finalità. Non più miti ma fiabe, non più rituali di formazione e passaggio ma stringati insegnamenti di utilità familiare e sociale (la famosa espressione “morale della favola” vi dice niente?). La natura ancestrale, primordiale del mito si stempera attraverso ripetute attualizzazioni nel corso della storia dell’uomo, passando appunto per i racconti mitologici greci, le fiabe, le favole, la narrativa moderna popolare. Ciò che rimane è sempre la struttura portante del Viaggio dell’Eroe. Migliaia di anni di narrazione, in cui le sue strutture ridondanti si sedimentano e scolpiscono profondamente nel subconscio umano, diventando la base stessa, minima ed essenziale, del modo in cui trasmettiamo le informazioni a qualsiasi livello e con qualsiasi mezzo: una sequenza in tre parti in cui esprimiamo un contesto di riferimento, rendiamo conto di un evento derivato da quel contesto, ricaviamo una lezione finale che migliora la nostra vita.

È il caso di tornare a sottolineare un aspetto, già esplicitato al principio di questo scritto, circa la natura di questa struttura narrativa ricorrente: il suo essere “popolare”, inteso come caratteristica culturale assimilabile in maniera istintiva senza conoscenze specifiche o formazione scolastica. Una storia popolare è alla portata di tutti, dal componente di una società tribale al filosofo astratto di una società culturalmente sofisticata.
Perché insistere su questa caratteristica? Perché innanzitutto il Viaggio dell’Eroe non è, fortunatamente, l’unico modo per costruire una storia, ma è il modo, se vogliamo, più semplice (si fa per dire), più efficace e con i migliori strumenti di controllo per valutare stato, evoluzione e coerenza dello sviluppo di una storia, dei suoi personaggi e degli obiettivi che abbiamo assegnato all’insieme.
Ma è anche la struttura standard su cui l’essere umano rende possibile la trasmissione lineare della conoscenza: una sequenza di segmenti di discorso che si susseguono in una forma semplice, facilmente memorizzabili e facilmente trasmissibili.

Perché dovrebbe interessarti

Il Viaggio dell’Eroe è da sempre la base di ogni storia popolare e viene ampiamente utilizzato nella letteratura e nel cinema, ma anche nei videogiochi e nella comunicazione aziendale – in quest’ultimo caso in una versione ormai indicata come storytelling management (s. aziendale, s. organizzativo ecc.). Lo storytelling per l’impresa, così come lo intendiamo oggi, si basa su alcuni punti fondamentali ispirati dal Viaggio dell’Eroe:

  • l’individuazione di un’audience (VdE: immedesimazione con l’Eroe);
  • la sua circolarità, con concetti e parole-chiave posizionati all’inizio e alla fine del percorso narrativo (VdE: indizi, insegnamenti e “doni magici” introdotti all’inizio della storia che permettono il dispiegamento e la conclusione del Viaggio);
  • il contesto dell’azione e la descrizione del “problema” o dell’obiettivo (VdE: descrizione del Mondo Ordinario, presentazione del “cattivo”, chiamata all’avventura);
  • le azioni svolte – o da svolgere – per risolvere il problema (VdE: discesa nel Mondo Straordinario, nemici e alleati, scontro con le forze del Male);
  • un resoconto dei risultati ottenuti – o desiderati – e gli effetti di questi risultati (VdE: ritorno con l’elisir e riconciliazione con la comunità e il Mondo Ordinario grazie agli evidenti vantaggi ottenuti nel Viaggio).

Il titolare di un’azienda può così “celebrare” la promozione di un suo dipendente (l’Eroe), riassumendone in breve l’arrivo in azienda (il Mondo Straordinario), la tenacia con cui si è ritagliato una posizione e il suo adattamento nella squadra (nemici e alleati, le forze del Male), il consolidamento della sua posizione di punto di riferimento nel gruppo (conquista del Mondo Straordinario) e prospettandogli le evoluzioni future date dalla sua nuova posizione (Ritorno con l’elisir), assolvendo in un colpo al riconoscimento pubblico delle sue capacità professionali e investendolo di nuove responsabilità agli occhi della comunità lavorativa.
Un manager può cercare di innescare una spinta in avanti, possibile solo se c’è la piena e convinta partecipazione dei suoi collaboratori, tracciando un quadro dello stato attuale dell’azienda e dei suoi pregi e difetti (Mondo Ordinario) e le condizioni della comunità che amministra (gli Eroi), i nuovi obiettivi – di cambiamento, di rafforzamento – che dovrebbero raggiungere e le difficoltà che dovranno affrontare (discesa nel Mondo Straordinario, nemici e alleati), la speranza di successo con i benefici che ne deriveranno, per i singoli dipendenti e per l’azienda (Ritorno con l’elisir e riconciliazione con la comunità e il Mondo Ordinario grazie agli evidenti vantaggi ottenuti nel Viaggio).
Inutile dirlo, le narrazioni di questo tipo possono ottenere i risultati sperati solo se esse corrispondono alla realtà dei fatti. Non basta quindi, ad esempio, raccontare ai propri dipendenti che l’azienda è sana e offre un ambiente lavorativo confortevole e rispettoso, e che ha grandi progetti per il futuro: in genere, il personale vive sulla propria pelle la qualità dello spazio di lavoro e il comportamento dei colleghi ed è in grado di valutare la salute economica dell’azienda confrontando fattori come la puntualità degli stipendi, l’equità degli stessi, la sede aziendale e il suo mantenimento generale, il clima psicologico sottinteso e così via. Distorcere la realtà raccontando una storia diversa delude i collaboratori e innesca un contraccolpo negativo nella visione aziendale del personale, la narrazione interna (tra dipendenti) ed esterna all’azienda.

Per concludere

Cosa rende perfetta una storia? Il soddisfacimento di una serie di parametri che hanno a che fare con il soggetto della storia e le personalità dei personaggi, il suo sviluppo, il livello di complessità della storia e della psicologia dei personaggi, la qualità degli elementi inattesi, l’abilità a portare a compimento trama e sotto-trame, la maniera e i tempi in cui queste si evolvono e si risolvono, il tutto mentre si viaggia verso un finale che deve essere all’altezza dell’aspettativa generata da quanto si è dipanato nello sviluppo della storia. Infine, il premio: la storia popolare ideale si conclude con un insegnamento di qualche tipo, a vantaggio dell’eroe ma soprattutto della comunità. Ciò rende appagante il fatto che abbiamo dedicato la nostra attenzione alla storia e ci consegna una caratteristica fondamentale della narrazione: informazioni di valore. Dopotutto, il linguaggio si fonda su questa necessità tipicamente umana, quella dello scambio delle informazioni. A voler estendere la riflessione, il verbo “raccontare” ha origine nell’espressione latina “fare di conto” (raccontare, forma rafforzata di contare, che deriva da computare, cioè “verificare un conto”). E se di conti si tratta, parliamo quindi di informazioni di un qualche valore.
Una storia è quindi una parentesi, più o meno breve, distinta dal resto della vita di un individuo o di una comunità, che descrive un evento segnante da cui deriva un insegnamento utile a tutti. Raccontiamo ciò che è speciale, non la routine quotidiana. E raccontiamo le storie seguendo una struttura che le renda comprensibili a chi le ascolta ma che in qualche modo le renda anche più accattivanti. Insomma, inseriamo quei meccanismi di curiosità, attesa, sorpresa, immedesimazione che ci tengono incollati alla narrazione. Quei meccanismi trovano origine nei miti millenari e si sono perfezionati nel corso di secoli fino ai giorni nostri.

Ulisse affronta più volte i mari e mille avventure e peripezie per tornare nel suo regno e ristabilire l’ordine messo a repentaglio dalle mire dei proci, Frodo Baggins attraversa la Terra di Mezzo fino a Mordor per sconfiggere l’onnipotente Sauron e restituire pace e speranza alla razza degli Uomini, Neo si immerge nella Matrice per smascherare il dominio mentale delle macchine e liberare i suoi simili dal loro giogo. Epoche diverse, personaggi apparentemente opposti, ma è sempre un partire per un mondo ignoto, apprenderne le regole, sconfiggere il male e tornare tra i propri cari e simili, in una comunità che trarrà giovamento dai benefici ottenuti dall’Eroe in quel suo Viaggio così pericoloso e… straordinario.

Un eroe parte per luoghi sconosciuti, affronta le proprie paure, impara a fidarsi dei compagni e a distinguere i nemici, domina un mondo che non è il suo per comprenderlo e domarlo, per poi tornare a casa più forte, più efficiente, più legato a quel mondo da cui si è dovuto separare.

È sempre la stessa storia.

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